Il greenwashing è una strategia di comunicazione volta a valorizzare la reputazione ambientale di un’impresa mediante un uso disinvolto di richiami all’ambiente nella comunicazione. Richiami tuttavia, non supportati da fatti reali.
Green washing? Prima di affrontare l’argomento introduciamo una considerazione fondamentale: i mercati sono conversazioni. Con questa tesi si apre il Cluetrain Manifesto, un testo del 1999, redatto da Rick Levine, Christopher Locke, Doc Searls e David Weinberger. Il testo, redatto sotto forma di enunciazione di 95 principi, sostiene che grazie alla rete i mercati si sono organizzati e sono diventati più informati, più intelligenti e più esigenti rispetto alle informazioni che le aziende cercano di “vendere” ai propri “consumatori”. Alla tesi 12 il Cluetrain recita testualmente: “Non ci sono segreti. Il mercato online conosce i prodotti meglio delle aziende che li fanno. E se una cosa è buona o cattiva, comunque lo dicono a tutti”.
Ecco perché raccontare inesattezze (non necessariamente in cattiva fede) non è mai una buna idea. Specialmente se queste riguardano un tema molto sentito come la sostenibilità.
Greenwashing definizione
Intanto vediamo da cosa deriva questo termine: è un neologismo composto dalle parole green (verde, ecologico) e whitewash (insabbiare, nascondere qualcosa). Qualcuno sostiene che la parte wash del neologismo derivi dall’inglese to wash, lavare. In entrambi i casi il senso non cambia: il significato rimane insabbiare pratiche non sostenibili sotto uno strato di finto ambientalismo o, bene che vada, dare una lavata di verde a pratiche che di verde in realtà non hanno nulla.
Il 28 gennaio 2021, sotto l’egida della Commissione europea, una task force di autorità nazionali e internazionali hanno condotto un’indagine sulla pratica del greenwashing. La metodologia scelte era facile: analisi dei siti web corporate per verificare quanto affermato dalle aziende che dichiaravano di svolgere attività a tutela dell’ambiente. Dopo l’analisi la verifica (il fact checking) sui fatti concreti riscontrabili.
In oltre la metà dei casi l’azienda verificata non aveva fornito informazioni sufficienti per valutare l’autenticità dell’affermazione. Nel 37 % la testimonianza conteneva formulazioni talmente vaghe e generiche, evidentemente inserite allo scopo di trarre in inganno i lettori. Ben 6 aziende su 10 non fornivano prove a sostegno delle affermazioni e nel 42% dei casi le Autorità hanno ritenuto ingannevoli e non veritiere le affermazioni, considerandole pratiche commerciali sleali.
Qui il link al comunicato stampa che riporta tutti i dati: https://ec.europa.eu/commission/presscorner/detail/it/ip_21_269
La domanda che probabilmente sorge spontanea è: ma se è vero che i mercati sono conversazioni e in queste conversazioni non esistono più segreti (perché i consumatori più intelligenti, organizzati e informati condividono tra loro queste informazioni) che senso ha mentire? O quantomeno diffondere verità parziali o difficilmente riscontrabili? In termini calcistici questo si chiamerebbe autogol….
Esempi
Ne sa qualcosa, ad esempio, una nota marca di acque minerali che, già nel 2012, pubblicizzava la bottiglia a “impatto zero” promettendo la compensazione della CO2 emessa, con la tutela di nuove foreste. La campagna è stata sanzionata dall’Antitrust, con una multa di 30 mila euro, perché considerata pratica commerciale scorretta. L’azienda, infatti, sosteneva che la bottiglia da 1,5 litri era priva di impatto sull’ambiente ed esaltava la propria attività di impresa “green”. Cosa che non era semplicemente vera.
Ma al di là di una sanzione da 30.000 euro (ridicola per un colosso come l’azienda in oggetto) quale fu l’impatto in termini reputazionali? Ma soprattutto quale potrebbe essere se il fatto fosse accaduto non 10 anni fa ma oggi?
Senza spingerci a citare fatti così eclatanti, se è vero che il 42% dei casi rilevati nell’indagine del 2021 sono stati ritenuti ingannevoli forse sarebbe il caso di farsi aiutare da un consulente esperto prima di intraprendere qualsiasi strategia di comunicazione potenzialmente dannosa.
In Minding Group conosciamo molto bene dove si posiziona la sottile linea tra il greenwashing e una comunicazione che invece racconti la sostenibilità. E, a ritroso, siamo in grado di organizzare le attività aziendali (sostenibili) in modo che anche il loro storytelling sia onesto, veritiero e corretto.
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